MI CHIAMO MARINELLA, HO QUARANTOTTO ANNI E VIVO AD ASTI.

La mia storia di 'angio' comincia a nove anni. Il mio braccio destro era più lungo dell'altro e con troppe vene, così il medico di famiglia consigliò degli accertamenti. Presso il Policlinico di Milano feci una lunga serie di esami, ma non ne venne fuori nessuna diagnosi, solo la proposta di amputare l'avambraccio.

I miei genitori, disperati, cercarono soluzioni presso dei guaritori, spendendo dolore e denaro inutilmente.

A 22 anni dei conoscenti mi misero in contatto con un primario dell'ospedale San Paolo di Savona, specializzato in chirurgia della mano, l'unico disposto ad operarmi, che mi chiuse delle fistole e mi legò due arterie. Fu un anno difficile e, quando il professore non seppe più cosa fare per aiutarmi, mi sentii ancora una volta abbandonata, con la mia patologia senza nome.

Mi misi a girare per costosi studi privati, sempre piena di speranza e sempre delusa perché quando i professori leggevano la mia cartella clinica, dichiaravano che non c'era niente da fare.

Ero avvilita e non sapevo dove trovare aiuto, mentre i dolori aumentavano e si parlava di cancrena ed ischemia. L'ennesimo viaggio della speranza mi fece sbarcare a Nizza, in Francia, dove sottoposta nuovamente a un' angiografia, mi fu indicato l'ospedale Laborisère a Parigi.

Sperai di trovare finalmente la soluzione. Ma nonostante i ripetuti 'soggiorni' non risolsi nulla anzi l'ischemia peggiorava!

Ad Asti mi parlarono di un nuovo primario di chirurgia vascolare, e questi prese a cuore la mia situazione e fissò un intervento, ma al mattino, poco prima che entrassi in sala operatoria, ebbe l'umiltà di confessarmi d'aver studiato il mio caso tutta la notte e di non sentirsi in grado di operarmi: la rovinerei, mi disse. Si accontentò di asportarmi un'unghia, e questo riuscì intanto a procurarmi un periodo di tregua.

Conobbi così la gioia di diventare mamma, nel 1995. Ma l'angiodisplasia è crudele con le mamme e dopo solo quindici giorni i dolori alla mano si ripresentarono molto più forti. Tanto che fui costretta a interrompere l'allattamento per prendere antidolorifici adeguati. L'angiodisplasia mi divorava le dita e persi il mio compagno, non più in grado di affrontare con me le sofferenze. Non potevo badare al mio bambino, che dovetti affidare a mia madre.

Una volta ancora ripresi a cercare un medico in grado di fare qualcosa per me.

In media, chi è malato di una malattia rara, impiega circa tre anni, per giungere a una diagnosi. Io ho dovuto andare in giro per 25 anni prima di poter dare un nome alle mie sofferenze, cioè fino a quando ho conosciuto il professor Mattassi e il dottor Vaghi, che mi hanno diagnosticato l'angiodisplasia.

Avevo trentaquattro anni ormai e un figlio che per tre anni avrei visto solo un week end al mese.

La situazione ormai era degenerata, i dolori erano costanti e la mano atrofizzata. Mattassi mi ricoverò subito, ma ero un caso difficile perché ero arrivata molto tardi. Fui sottoposta a numerosi interventi, si provò anche una plastica alle dita ma ebbi un rigetto e le dita dovettero essere amputate.

Avevo bisogno di tornare a una vita normale e mi fu concessa una pausa. Sei mesi nel calore della mia casa. E un nuovo compagno. Ma l'angiodisplasia mi ricordò subito che non poteva essere proprio tutto normale e, la nuova gravidanza appena cominciata, dovette essere interrotta appena fatto il test. Immediatamente fui ricoverata per un tentativo di alcolizzazione. Ma il prezzo da pagare fu più alto: si verificò un'ischemia e la mano mi fu amputata.

Rimasi addormentata per una settimana, sotto dosi massicce di morfina, per prevenire l'effetto doloroso dell''arto fantasma'.

Dicono che sono una bella ragazza, alta, con i capelli color oro lunghi e lisci. Sembro, e forse sono, forte e coraggiosa E come fai altrimenti? Ma non è facile accettare il vuoto là dove la manica finisce.

Un vuoto che duole e non si cicatrizza, che ha bisogno di medicazioni e medicazioni. Un vuoto che ti senti nel cervello e nel cuore e allontana da te le persone che ami. Come il mio nuovo compagno. Che ti fa sentire addirittura in colpa, per un figlio che non riesci a crescere e devi affidare ad altri, cioè i tuoi genitori, convinta di pesargli, per un figlio che pensi di aver abbandonato e al quale credi di aver sottratto il padre. Ti senti in colpa quando vedi in lui insorgere tic nervosi che lo costringono a cure neuropsichiatriche.

Ma forse è vero che sono una donna forte, perché ho ripreso in mano la mia vita. Mi sono resa indipendente e mi sono creata la mia famiglia:siamo noi due, mio figlio, che adoro, ed io.

Il reparto di Chirurgia Vascolare diretto dal professor Mattassi, il Belov del Salvini di Garbagnate Milanese è diventato il mio riferimento. Per sei anni dopo quel periodo così duro, sono stata seguita con controlli periodici, con la caposala che mi contattava puntualmente ogni anno.

Nel 2006 è ricominciata. L'angiodisplasia era avanzata a tal punto che al Belov son dovuti intervenire sull'avambraccio. Un intervento massiccio che ha richiesto successivamente un lungo periodo per riprendermi, tale era la debilitazione.

Dopo due anni altre sei embolizzazioni e due ulcere con cui convivere! Così un su e giù tra Asti e Garbagnate per continue medicazioni.

Ma non c'è tregua: qualche giorno fa un'emorragia. Il sangue zampillava sotto gli occhi impietriti dei miei genitori e di mio figlio, che era sgomento: devi essere forte, gli ho detto. Se lo sopporto io devi saperlo affrontare anche tu! Ho chiamato io stessa il 118 dopo aver raggiunto al telefono il chirurgo, che mi ha risposto dalla sala operatoria, ed ho anche confortato gli operatori dell'ambulanza, assolutamente incompetenti di fronte alla'angiodisplasia.

Non so se oggi sarei qui a raccontare di me se la risposta del chirurgo non fosse stata così pronta.

Ora sono ancora in reparto dove il primo tentativo è stata un'alcolizzazione.

Mi sento fortunata a trovarmi tra persone che mi capiscono e mi vogliono bene. Qui, in questo reparto, ho scoperto il dono prezioso del sorriso nella sofferenza: i miei amici sono i medici e le infermiere, gli altri malati di angio come me. Finalmente non mi sento più sola dopo tanto abbandono. So che lottiamo insieme e insieme sappiamo scherzare e confortarci a vicenda.

E' qui, il Belov 3° piano chirurgia vascolare del Salvini a Garbagnate Milanese  il rifugio di noi di 'angio', il nostro mondo a parte, come se il filo spinato lo separasse dal mondo fuori, che può essere tanto vuoto e sciocco e freddo.

Tratto da http://angiodisplasie.org/storie.php